La cedolare secca è un’opportunità per chi affitta la propria casa. Sostituisce, in un’unica soluzione, molte tasse tra cui il bollo, l’irpef e l’imposta di registro. Il suo valore varia da 21%, se il canone è libero, al 19%, se il canone è concordato (ossia se risponde ai criteri decisi dall’ente). La cedolare secca è veramente utile e conveniente quando si hanno più redditi. In assenza di questi, l’Irpef rischia di essere meno onerosa della cedolare secca, e quindi l’opportunità di quest’ultima va valutata attentamente.
Il pagamento della cedolare secca è vincolato all’erogazione dell’acconto, il quale copre il 95% dell’imposta. Il termine ultimo per il versamento è del 2 dicembre, sebbene vi siano differenze a riguardo tra cedolari secche di una certa entità e quelle meno “pesanti”.
Se l’importo del rigo RB11 colonna 3 non supera i 52 euro, l’acconto non va corrisposto. Se l’importo è superiore a 52 ma inferiore a 257,52 euro, l’acconto è effettivamente del 95%. Se l’importo è superiore a 257.52 euro, va corrisposto un ulteriore acconto tra giugno e agosto (40%), e il resto entro il 2 dicembre.
La cedolare secca si sta rivelando un flop. Si pensava che la sua introduzione si rivelasse funzionale all’emersione del nero, ossia alla trasformazione dei rapporti di affitto “informali” in normali contratti di locazione. Ebbene, gli effetti sul fenomeno sono stati minimi. Ciò è dovuto, in parte, alla scarsa appetibilità dello strumento in caso di canone libero che, essendo quello più danaroso, è quello più diffuso.
In caso di canone concordato, infatti, è prevista una diminuizione dell’aliquota dal 15% al 5%, mentre per i canoni liberi non è stato adottato nessun provvedimento a riguardo. Un reale rilancio della cedolare secca, dunque, è legato all’applicazioni delle diminuizione anche in caso di canoni liberi.