Con l’abolizione dell’equo canone è sorta una tipologia, quasi a sostituire quest’ultimo, molto vantaggiosa sia per chi affitta un locale sia per chi lo prende in affitto. Il canone concordato consiste, sostanzialmente, nell’accettazione, da parte di entrambe le parti, di un canone di locazione non corrispondente a quello di mercato, quindi sensibilimente più basso, deciso sulla base dell’azione di alcuni specifici enti.
In breve, se si effettua la scelta del canone concordato, locatore e locato dovranno rivolgersi prima al Comune e poi agli enti, che esso stesso suggerire, che rappresentano in quello specifico luogo chi affitta e chi prende in affitto. Questi enti valuteranno l’immobile, o il locale (se si tratta per esempio di una stanza) e stabiliranno un canone minimo e un canone locale, mediamente inferiore al canone di mercato. A quel punto, i due soggetti dovranno mettersi d’accordo e stabilire la cifra definitiva.
Il canone concordato si differisce da quegli altri, che vengono chiamati “liberi”, per due elementi. Il primo è la diversa durata del contratto. Nel primo caso si applica la formula del 3+2 (con la possibilità del 3+3 se entrambi le parti sono d’accordo). Il secondo motivo di diversità è la possibilità, per chi accetta il canone concordato, di usufruire di alcune agevolazioni. Ecco quali.
Irpef: va dichiarato il 66,5% del canone anziché l’85% (non vale se si sceglie la cedolare secca). Va versato, a patto che si scelga la cedolare secca, il 15% anziché il 21.
Imposta di registro: 1,4% del canone annuo, anziché il 2.
Imu: lo Stato permette ai Comuni di applicare un’aliquota al 4% sulle case locate con canone concordato. Ovviamente, tale detrazione è facoltativa, le amministrazioni locali possono decidere di non sfruttare questa opportunità e mantenere l’aliquota dal 7,6 al 10 anche per chi ha affittato un immobile o un locale con il canone concordato.