L’euro sta viaggiando stabilmente sotto 1,28 nei confronti del dollaro. Si tratta di una buona notizia. Il “super euro”, ossia il progressivo rafforzamento della moneta unica, ha causato un bel po’ di guai nel corso dell’ultimo bienno. In particolare, ha compromesso le esportazioni e ha preparato il terreno per l’arrivo della deflazione, vera e propria catastrofe economica per un paese in crisi.
Il valore dell’euro dimostra una cosa: le riforme di Draghi stanno iniziando a funzionare. Uno degli obiettivi del presidente della Bce, non a casa, era quello di svalutare la moneta unica in prospettiva di un rilancio dell’export. Il secondo obiettivo è l’aumento dei prezzi. Il terzo, l’allentamento della stretta al credito. Per questi due obiettivi, la strada sarà lunga, ma conforta la consapevolezza che la Bce ha colpito almeno un bersaglio.
Dalla cronaca economica di questi mesi emerge un convincimento: Draghi assomiglia sempre di più alla Yellen. O, forse, la Bce assomiglia sempre di più alla Fed. I tempi per un cambiamento in senso interventista della Bce sono finalmente maturi.
Ciò risulta evidente anche dalle ultime dichiarazioni del presidente della Banca Centrale Europea. Nel corso di una recente conferenza stampa Draghi ha affermato che il problema più grande dell’Europa non è la deflazione ma la disoccupazione. Una frase carica di significati, anche perché ufficialmente la Bce non deve occuparsi del lavoro, se non indirettamente.
Anzi, è proprio questa la differenza con la Fed. Questa ha come obiettivo la piena occupazione, la Bce semplicemente il mantenimento dell’inflazione poco al di sotto del 2%.