E’ da almeno quattro anni che dall’Unione Europa ci giungono improperi circa la disciplina di bilancio e la necessità di fare i “compiti a casa”. Nemmeno il nuovo corso, instaurato a partire dalle elezioni dello scorso giugno, ha sparigliato le carte in tavola. Sicchè l’Ue, rappresentata da burocrati severi e ingessati, si ritrova nuovamente impantanata in una sorta di guerra di trincea, nella quale le istituzioni non muovono un dito per salvare le baracca e indugiano nel mantra dell’austerity.
E’ quanto emerge dalle ultime dichiarazioni di Jeroen Dijesselbloem, presidente dell’eurogruppo, amante dell’austerity e del rigore, che questa mattina ha partecipato a un’udienza con la Commissione per gli Affari economici. I concetti ribaditi sono quelli di sempre, gli stessi che hanno condannato i paesi membri – tra cui l’Italia – a una suicida disciplina di bilancio e alla recessione.
In particolare, il burocrate si è scagliato contro la flessibilità. Secondo lui è sbagliato ritenere che sia una panacea contro tutti i mali, soprattutto è sbagliato pretenderla “gratis”. In cambio dell’allentamento dei vincoli europei, che pur hanno dimostrato di essere estremamente controproducenti, l’Unione Europei, nella figura di Dijesselbloem, chiedono ai paesi membri di rivoluzionari il proprio rapporto con le istituzioni e con il mercato del lavoro, il tutto all’insegna del libero mercato (lo stesso che ci ha portato alla crisi nel 2008). Meno presenza dello Stato e delle istituzioni, è questo ciò che si chiede.
Il presidente dell’eurogruppo, in verità, ha parlato solo di riforme ma il genere di riforme richieste è già cosa nota. Come se non bastasse, ha fatto seguire, a questa serie di richieste, una dichirazione sul ruolo della banca centrale: “I paesi non devono affidarsi alla Bce per crescere”. Insomma, meno interventismo su tutti i fronti, nonostante siamo nel settimo anno di recessione.