Le parole di Mario Draghi hanno catapultato i mercati internazionali in una sorta di “Quantitative Easing Mood“. Gli espliciti riferimenti a questo particolare tipo di politica monetaria hanno generato la convinzione che anche la Bce sia sul punto di stampare moneta. Per l’Europa è sempre stato un tabù, mentre altrove (in Usa e Giappone) questa pratica è stata realizzata fin dalle prime fasi della crisi economica.
I mercati hanno incamerato l’aspettativa del Quantitative Easing. Così si spiega l’ondata di positivi negli ultimi due giorni e un clamoroso calo dei rendimenti dei titoli decennali di tutti i paesi in cui è vigore l’euro. Persino in Italia e in Spagna, le grandi malate d’Europa, lo spread è scesa a livelli pre-crisi.
Insomma, sempre proprio che il QE sia alle porte. Ma è davvero così? A onore del vero, l’ipotesi è ancora remota, se non altro dal punto di vista tecnica. Il Sole 24 Ore ha elencato tutti gli ostacolo che si frappongono tra l’Europa e il Quantitative Easing.
1. Presenza di figure conservatrici nel board della Bce, come Jens Weidmann governatore della Bundesbank e Erkki Liikanen governatore della Banca Centrale Finlandese.
2. Limiti costituzionali di alcuni paesi, che vietano espressamento l’utilizzo del Quantitative Easing.
3. La percezione secondo cui la spirale deflazionistica può essere evitata mettendo in campo misure convenzionali. Tecnicamente, infatti, l’Europa non è in deflazione, piuttosto è un forte disinflazione.
4. La struttura dell’Unione Europea, che è molto più liquida di Stati Uniti e Giappone che, di contro, sono degli Stati Nazione propriamente detti.