L’Istat rivela che l’inflazione è scesa dello 0,1% da luglio a giugno, mentre è salita della stessa percentuale su base annua (quindi da luglio 2013 a luglio 2014). Si tratta di una cattiva notizia per l’economia italiana. Quando i prezzi scendono, al contrario di ciò che suggerisce il senso comune, si verificano una serie di distorsioni difficili da rimuovere.
Se i prezzi scendono, infatti, le imprese, per risultare devono competitive, devono abbattere i costi. I primi costi che vengono abbattuti sono quelli sulla pubblicità e, subito dopo, quelli sul lavoro. La conseguenza principale è quindi il licenziamento di dipendenti. Ma se un numero sempre maggiore di persone si ritrova senza lavoro, la capacità di spesa si riduce e i prezzi, affinché i prodotti vengano venduti, devono scendere nuovamente. Si instaura quindi un circolo vizioso dai risvolti nefasti, impossibile da risolvere per via endogena. Ai piani alti, Unione Europea e Banca Centrale Europea, si sta ragionando su misure tecniche complesse, ma la soluzione appare ancora lontana.
Il dato dell’inflazione risente del calo dei prezzi dei prodotti alimentari non lavorato (come frutta e verdura). Se consideriamo solo questi ultimi infatti, l’indice dei prezzi al consumo fa registrare un significativo -2,9%. Se li escludiamo, invece, l’inflazione risulta comunque molto bassa e si attesta intorno allo 0,6%.
Un livello di inflazione ritenuta universalmente desiderabile corrisponde al 2%. E’ questo l’obiettivo della Banca Centrale Europea. Il raggiungimento di questa soglia, ad oggi, appare un sogno nel cassetto difficile da realizzare. E’ un danno inestimabile: senza inflazione “moderata”, non può esserci crescita.