La luce il fondo al tunnel. E’ questa la metafora più utilizzata quando occorre esprimere il concetto di crescita imminente. E proprio di crescita imminente si fa un gra parlare in questo periodo. La recessione è finita, la crisi è dietro le spalle. Questo è ciò che si legge nei giornali e si apprende in tv. A veicolare questo messaggio, politici e amministratori.
E’ vero? Questo ottimismo è giustificato? In verità, no. Già le stime, per chi ha avuto la pazienza di leggere i numeri, non consentivano di cantare vittorio. I primi dati reali, però, parlano di una situazione di sofferenza che è destinata a protrarsi.
La doccia fredda si è rivelata essere il dato sul Pil. Nel primo trimestre del 2013, a discapito di quanto detto e annunciato, è stato registrato un calo dello 0,1%. Altro che crescita, dunque.
Consapevole di questa situazione come minimo di stallo è Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria. Durante l’Assemblea annuale degli industriali ha offerto una fotografia dell’Italia lucida ma sconfortante: “Nel 2014 non ci sarà né la crescita sperata, né più occupazione”.
L’elenco delle criticità che Squinzi ha stilato è impietosa: “Il reddito procapite è ai livelli del 1996, i consumi al 1998, gli investimenti al 1994, la produzione industriale è tornata al livello del 1986. La disoccupazione viaggia verso il 13%. Nel manifatturiero tra il 2001 e il 2013 abbiamo perso 120.000 imprese e quasi un milione e duecentomila posti di lavoro. Non è questa l’Italia che vogliamo”.
Alla luce di questi numeri, non stupisce la raccomandazione che Squinzi ha fatti al Governo: fare presto, fare bene.