Gli ultimi dati economici stanno facendo l’effetto di una vera e propria doccia fredda per l’Europa. Il 2014 doveva essere per il Vecchio Continente l’anno del riscatto, con la crescita finalmente alle porte dopo due anni di recessione consecutivi e sei anni di crisi. E invece un po’ ovunque si registra una stagnazione che, escludendo i pessimisti, era inaspettata.
Per primo è venuto il turno dell’Italia: -o,2% nel secondo trimestre; recessione tecnica e stagnazione di fatto. Poi, e questa è stata veramente una sorpresa, il -0,2% della Germania. La locomotiva d’Europa si è fermata, bloccata da un profondo calo delle esportazione e da un indice di fiducia tra i più bassi dell’Eurozona.
Cosa sta accadendo? Perché l’Europa non esce dalla crisi?
Ufficialmente, la ragione è geopolitica e, per utilizzare un termine tecnico, esogena. Insomma, i governi non hanno colpa. La responsabilità va rintracciata nella guerra – per giunta ancora non “caldissima” – tra Ucraina e Russia, che ha compromesso i commerci verso l’est Europa, tradizionale mercato per la Germania e per buona parte dell’Unione Europa.
Affermare che la colpa è solo dell’Ucrina equivale però a nascondere la polvere sotto il tappeto. La stagnazione è una questione di scelte economiche sbagliate. Il guaio è che, nonostante i dati negativi, i policymaker d’Europa non sembrano voler invertire la rotta.
La colpa è, in estrema sintesi, della disciplina di bilancio. Se questa viene forzatamente fatta rispettare in tempo di crisi, l’economia peggiore e – a mo’ di paradosso – i conti pubblici si compromettono. L’Europa è attualmente un cane se si morde la coda.
Questo perché la cosiddetta austerity non fa altro che deprimere i consumi, ostacolando il Pil e riducendo la base imponibile.