Sull’Italia pende una oscura Spada di Damocle. Si tratta del Fiscal Compact, trattato con cui l’Italia si è impegnata, a partire dal 2015, di ripagare buona parte del suo debito. In sintesi, il Bel Paese dovrà rimettere un ventesimo della parte eccedete il 60% del rapporto debito Pil. Questo, sia chiaro, ogni anno per venti anni.
Vuol dire che dal prossimo anno gli italiani dovranno sorbirsi 50 miliardi di euro in manovre correttive, quindi aumente delle tasse e taglio della spesa (e dei servizi).
Questa è l’interpretazione che va per la maggiore e che è supportata dalle evidenze matematiche. E’, ovviamente, la versione portata avanti dalle opposizioni al Governo Renzi, convinto europeista.
Alcuni, però, stanno diffondendo versioni meno apocalittiche. Secondo queste, l’Italia sarà costretta a pagare “solo” 7 miliardi di euro all’anno.
In effetti, anche questa interpretazione è vera. Il ragionamento è il seguente: il Fiscal compact impone di ridurre non il debito, ma il rapporto di questo con il Pil. Per farlo, o si diminuisce il numeratore o si aumenta il denominatore. Quindi, in parole povere, o si aumentano le tasse o si aumentano la crescita.
Per rendere il Fiscal Compact quasi indolore è sufficiente crescere del 2-3% ogni anno. Detta così sembra facile, ma le prospettive parlano di una crescita a rilento, lontane da queste percentuali. La deflazione incombe, e i vincoli di bilancio imposti agli Stati limitano al massimo gli investimenti pubblici, il cui scopo è proprio quello di favorire la crescita.
La sensazione, dunque, è che si dovrà ricorrere alle classiche manovre lacrime e sangue per rispettare il Fiscal Compact.