L’anno scorso Enrico Letta aveva annunciato in pompa magna l’istituzione del cosiddetto bonus giovani. La misura prevedeva – e prevede – lo sgravio fiscale per quelle imprese che assumono a tempo indeterminato giovani dai 18 ai 29 anni. A quasi un anno dalla sua entrata in vigore, è possibile fare un primo bilancio. I dati sono stati diffusi dallo stesso Ministero del Lavoro.
Dati che, spiace dirlo, rivelano un flop di dimensioni significative. Il bonus giovani ha generato posti di lavoro inferiori alle aspettative. La stima, infatti, prevedeva 100.000 assunzioni entro il primo anno. Fra qualche mese il bonus compirà 12 mesi, ma si contano solo 22.000 assunzioni.
Cos’è andato storto?
All’apparenza, il bonus sembrava essere in grado di porre un freno alla disoccupazione giovanile. Alle imprese beneficiarie sarebbe toccato uno sgravio fiscale del 100% (rispetto ai tributi dovuti per il mantenimento del posto di lavoro) per 18 mesi, fino a un massimo di 650 euro al mese.
Analizzando il provvedimento più dettagliatamente, però, si possono notare alcune piccole contraddizioni in grado, evidentemente, di inficiare il risultato finale.
Quella più importante riguarda la conditio sine qua non per l’attivazione del bonus: l’assunzione a tempo indeterminato. Per le altre forme contrattuali, il bonus non è attivabile. La domanda che ci si pone è: quante aziende possono permettersi, oggi, un’assunzione a tempo indeterminato? Sicuramente uno sgravio temporale non è sufficiente a favorire, da parte delle imprese, un passo così impegnativo.
Una causa rilevanete è poi quella esogena. C’è la crisi, e questa è una crisi di domanda. Se le imprese non hanno commesse, non assumono. E non c’è bonus o sgravio che tenda. Manca, insomma, il lavoro.