Gli italiani hanno sofferto moltissimo l’austerity, eppure, tra chi governa, è diffusa la sensazione che sia propria questa la strada da seguire: tasse, rigore dei conti pubblici, riduzione della spesa.
E’ di questa idea Mario Draghi, presidente della Bce, che durante l’incontro del 14 luglio con il Parlamento Europeo ha ribadito la necessità di proseguire con il rigore. Il suo è stato un peana contro la flessibilità, che è poi l’elemento sul quale vogliono puntare molti paesi europei. Flessibilità rispetto a quelle regole che hanno strangolato – economicamente e socialmente – l’Italia, la Spagna e soprattutto la Grecia.
Ma l’Europa, per Draghi, va bene già così: “Le regole attuali già contengono la flessibilità, e poi pensare che sia l’unico modo per far ripartire la crescita è limitato”.
Il presidente della Bce ha infine posto l’accento sulla necessità che i paesi membri realizzino riforme strutturali. Di che tipo, però, non è stato specificato.
L’unico punto forse condivisibile del suo discorso ha riguardato l’opportunità di rendere l’Europa più omogenea. Le regole sono diverse, le economie diverse, le politiche sono diverse e spesso contrastanti tra di loro. Si avverte il bisogno di un orientamento univoco, tanto in politica tanto in economia. I tentativi di creare un unioni bancaria rispondono a questa esigenza, ma anche in questo campo la Bce ha fatto poco: è stato partorito qualche mese fa un meccanismo che, più che omologare gli istititi del Continente, non fa altro che monitorarli e giudicarne le prestazioni.
Basterà? La sensazione è che sia troppo poco.