Il telelavoro è ancora visto, almeno in Italia, come una boutade, per nulla in grado di rappresentare un’alternativa al concetto “mainstrem” di lavoro.
Eppure il telelavoro potrebbe salvare l’Italia.
Almeno è questo ciò che emerge – con chiarezza – dall’ultimo saggio di Piero Staffa, economista italiano che insegna all’Università di Cambridge.
Il telelavoro, secondo Staffa, è potenzialmente in grado di risolvere due problemi. Il primo riguarda la disoccupazione. Molte imprese non assumono perché, semplicemente, il costo del lavoro è troppo altro. Ma se all’ufficio sostituiamo casa, il costo del lavoro viene abbattuto in maniera decisa. Dunque, problema risolto, o quasi.
Il telelavoro, però, interviene anche su un altro fronte, radicalmente diverso ma comunque molto importante: quello dello spopolamento dei piccoli centri urbani. E’ un fenomeno che dura da decenni: causa la mancanza di lavoro, che si è concentrato nelle grandi città, i lavoratori (o gli aspiranti tali) si spostano nelle metropoli o nei centri più grandi. Questo fenomeno si è intensificato negli ultimi anni, con l’ascesa dei nuovi flussi migratori interni – ovviamente nella direttrice sud-nord.
Ebbene, un telelavoratore non si preoccupa di dove svolge le sue mansioni. Le tecnologie digitali gli permettono di stare in contatto con datori di lavoro e fornitori ovunque egli si trovi fisicamente. Ma allora, se un posto vale l’altro, ci si può accasare anche nelle città di origine o in quei centri che stanno subendo il dramma dello spopolamento. Anzi, sarebbe persino auspicabile: soggiornare in un paesino dell’Appennino è senz’altro meno costo che vivere a Milano.