Il decreto legge sulla competitività contiene al suo interno una norma che introduce l’anatocismo. La paternità di questo specifico provvedimento è incerta. Sono molte le figure che, in questi giorni, stanno rimpallandosi le responsabilità. La verità è che l’anatocismo giova a molti, a esclusione, ovviamente, dei contribuenti.
Cosa si intende per anatocismo? Benché l’anatocismo sia associato spesso al concetto di usura, sono due cose diverse. L’anatocismo si ravvisa quando una banca impone al debitore gli interessi sugli interessi, aumentando così in maniera esponenziale la massa debitoria. L’usura è semplicemente l’imposizione di interessi superiori ai limiti indicati dal legislatore.
Tra i tanti “padri incerti”, uno è uscito allo scoperto. Si tratta di Bankitalia, che ha difeso la norma, descrivendola addirittura come un simbolo di modernità: “Qualsiasi paese che non abbia una legislazione islamica accetta l’applicazione degli interessi composti, nessuna economia di mercato può funzionare senza questo meccanismo“.
Nonostante questo endorsemente, in vero abbastanza scontato, è giunto proprio oggi (19 luglio) il secco no da parte della Commissione Bilancio. Una nota però avverte dei rischi della non-reintroduzione dell’anatocismo. Rischi soprattutto per le Pubbliche Amministrazioni, che in molti casi avevano scelto di applicare gli interessi compositi per rimpinguare le casse comunali (piuttosto che provinciali o regionali).
Fatto sta che l’ostacolo più importante che si frappone tra il legislatore e la reimmissione dell’anatocismo è rappresentato dall’opinione pubblica: questa vede il provvedimento come una sorta di coltellata alle spalle, tanto infame quanto intempestiva: la crescita è moderata e gli attori sociali stanno affrontano anche un periodo di liquidità scarsa.