La web tax, che poi altro non sarebbe che una Google tax, si è arenata in Parlamento qualche mese fa, all’inizio dell’avventura di Renzi, per volere proprio del Presidente del Consiglio.
A gran voce, però, c’è oggi chi chiede una sua attuazione. In prima fila c’è Mediaset. Il motivo è ovvio. Internet rischia di sottrarre audience alla televisione e questo anche quando di mezzo non ci si mette la pirateria o il fenomeno, ormai capillare, della violazione del copyright.
Peccato che la web tax così come era stata concepita dalle forze governative non solo avrebbe messo i bastoni tra le ruote a Google ma avrebbe anche recato danno alle imprese italiane che riescono a combattere la crisi proprio grazie al web. In parole povere, avrebbe azzoppato un percorso di modernizzazione che nel nostro paese, a causa di mele marce purtroppo molto potenti, stenta a decollare.
Mediaset sta facendo pressione al Governo, presumibilmente attraverso il consueto strumento delle lobbies, ma anche attraverso uscite sui giornali.
Tra queste spicca quella realizzata da Fedele Confalonieri, presidente del gruppo, che ha parlato senza mezzi termini di neocolonialismo di Facebook, Google e Amazon. L’elemento fondante delle sue critiche è in linea con quanto proclamato nei mesi passati dai fautori della web tax: i colossi della rete generano utili in Italia e grazie all’Italia, ma non pagano le tasse nel nostro paese e, anzi, prediligono paradisi fiscali come l’Irlanda.
Confalonieri ha parlato anche di sfida e di “nemici”. Questi non sarebbero i broadcaster classici ma, appunto, i vari Google, Facebook e Amazon.