L’Istat ha pubblicato il 6 aprile una indagine sulla ricchezza delle famiglie. Per inquadrare la situazione nel modo più cristallino possibile, l’istituto di statistica ha preso in considerazione tre voci: pressione fiscale, reddito delle famiglie, potere di acquisto.
I dati sono tutti e tre abbastanza contraddittori.
Il reddito, sempre nello stesso lasso di tempo, è salito dello 0,3%. Questo è normale, praticamente scontato: se cala la pressione fiscale, il reddito sale. Il problema è che sale in termini nominale, e infatti la “disponibilità” ha subito un destino diverso.
Il definitiva, il potere d’acquisto è sceso. Ed è sceso in modo abbastanza intenso: 1,1%. Questa cifra è indicativa perché, in primis, ha rischiato di essere molto più alta. I redditi nominali non sono cresciuti e le tasse sono cresciute di poco. Il danno è stato contenuto perché, semplicemente, l’inflazione si è rivelata essere molto bassa (ma comunque presente. Il potere d’acquisto, comunque, è il più basso dal 1996, sebbene queste due date non possano essere pienamente comparabile a causa dell’estrema eterogeneità economica-finanziaria tra le due epoche.
Qualche notizia buona si registra sul fronte della propensione al risparmio. Questa è salita di 1,2 punti in un anno, e ora si attesta al 9,6%.
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