Non solo le tasse nazionali pesano sul groppone del contribuente ma anche, e soprattutto, le tasse locali. Queste, infatti, sono state caratterizzate da un’impennata clamorosa causata, in buona parte, dal taglio dei trasferimenti agli enti locali che i vari Governi, da qualche anno a questa parte, stanno attuando. A farne le spese, ovviamente, l’ultima ruota del carro: il contribuente.
Questo schema ha causato incrementi fortissimi soprattutto per ciò che concerne le addizionali Irpef. Il risultato di queste manovre è la riduzione del netto delle buste paga e del potere d’acquisto dei cittadini. E’ a tutti gli effetti un circolo vizioso: la crisi morde, lo Stato per risparmiare riduce i trasferimenti agli enti locali, questi ultimi per rimpinguare le proprie casse aumentano l’Irpef, questa riduce il potere d’acquisto, calano i consumi e la crisi morde ancora di più.
La Cgia di Mestre ha analizzato il ruolo che hanno avuto i vari capoluogi di Regione nell’aumento dell’Irpef. Mediamente, tra il 2010 e il 2013, si è verificato un incremento della tassa del 30%. Ci sono, però, alcune eccezioni negative.
A Napoli e a Caranzaro ci sono stati gli aumenti più considerevoli. Sicché, per un quadro che percepisce circa 3.000 euro mensili, l’aumento è stato di 335 euro (+49%), mentre un operaio con lo stipendio medio di 1.300 euro ha “perso” 121 euro (+36%).
Il problema dell’Irpef è che, secondo la Cgia, è destinata ad aumentare. Questo per effetto del decreto sul federalismo approvato nel 2011, che permette agli enti locali di aumentare l’aliquota anche di 1,1 punti.
Specifica comunque l’ente: “Tale facoltà, sebbene limitata ai redditi superiori al primo scaglione di reddito Irpef (pari a 15.000 euro) per i quali rimane il limite di maggiorazione di 0,5 punti percentuali, potrà dar luogo ad un ulteriore incremento delle addizionali, con il corrispondente alleggerimento di pensioni e buste paga”.