L’Italia è stretta da qualche anno nella morsa del credit crunch. La conseguenza più visibile è la difficoltà con cui i contribuenti riescono a ottenere un prestito o un mutuo, ma anche un livello di interessi generalmente troppo alto. Questo aspetto negativo è ancora più evidente se si effettua un paragone con l’Eurozona, anch’essa caratterizzata da condizioni difficili dal punto di vista del credito.
Il confronto è impietoso. Lo è da almeno un bienno e, anzi, in questi mesi qualche segnale positivo – seppur timidissimo – è stato registrato. In breve, lo spread tra l’interesse medio pagato in Italia e l’interesse medio pagato nell’Eurozona si è un po’ ridotto (ma rimane assai alto).
Sicché, il gap relativo all’ultimo trimestre e circoscritto ai mutui è di 144 punti base, in luogo dei 150 registrati nel trimestre precedente. Più consistente il calo relativo dei prestiti: si è passati infatti da 151 punti base a 140.
Questi i dati di Adusbef. Federconsumatori ha invece calcolato le cifre che, mediamente, un contribuente italiano è costretto a pagare in più rispetto al suo omologo europeo. Per un mutuo trentennale a 100mila euro, i cittadini italiani pagano 83 euro in più ogni mese, per un totale di 30mila euro in più a fine contratto. Per un muto ventennale, sempre a 100mila euro, pagano invece 76 euro in più mensilmente e 18mila euro a mutuo scaduto.
Questi numeri rivelano che il credit crunch è un problema sì europeo ma anche e soprattutto italiano, alla luce del fatto che nel Bel Paese il problema sembra aver preso una piaga più virulenta.