Draghi ieri ha stabilito un record. E’ il primo presidente della Bce ad aver stabilito un tasso di riferimento pari allo 0,25. Un interesse bassissimo, che rivela una decisione inattesa e, forse, disperati. Il banchiere italiani ha probabilmente fatto la scelta giusta ma ciò non toglie che abbassare il costo del denaro a un livello così prossimo allo zero indichi la volontà di far ripartire l’economia a ogni costo, anche con strumenti non convenzionali.
Le borse e i maggiori attori economico-finanziari hanno reagito benissimo alla notizia. Le ore successive alla comunicazione del taglio sono state di euforia pura. Tutt’ora aleggia un certo ottimismo. Ottimismo che, in qualche modo, ha contagiato anche chi possiede un mutuo o chi lo sta per fare. Il riferimento è all’equazione, tradizionalmente utilizzata in questi casi, “taglio del costo del denaro uguale mutui meno costosi”. Questa volta rischia di essere diverso. Ad ammortizzare gli effetti della sforbiciata di Draghi intervengono alcuni fattori. Secondo alcuni analisti, in verità, gli effetti, alla fine dei giochi, saranno praticamente nulli.
Qualcosa si potrà muovere per coloro che posseggono un mutuo a interessi variabili ancorato al tasso di Francoforte. Peccato che la stragrande maggioranza dei mutui sia legato al tasso Euribor che è derivante da banche private. Il problema dell’Euribor è che non può più scendere; e non per la malafede degli addetti ai lavoro, bensì perché è giunto quasi al suo limite possibile. Siamo già allo 0,12%. Andare sotto vorrebbe dire non guadagnare, o rimetterci, eventualità che qualsiasi privato tenta di scanzare. Il tasso della Bce, quello sì, può arrivare allo 0, ma è ovviamente presto per parlarne.
Questo, nel breve periodo. Nel medio e nel lungo periodo è invece prospettabile un miglioramento delle condizioni dei mutui. La previsione di un costo del lavoro così basso contribuirà a “sciogliere” le banche e a far emergere mutui con condizioni più umane.