L’abolizione dell’Imu prima casa ha suscitato molte polemiche. Alcuni lamentano l’inutilità di questa operazione che, tra le altre cose, rischia di mettere in pericolo le finanze pubbliche. Altri, invece, accusano il Governo di aver ingannato i cittadini: non è vero che l’Imu prima casa è stata eliminata, ha solo cambiato nome. Quel nome è Trise.
La Trise, introdotta dalla Legga di Stabilità, comprende al suo interno la Tari, che sostituisce la vecchia Tares, e la Tasi, imposta che finanzia alcuni servizi comunali e comprende, ben celata al suo interno, il tributo per la prima casa.
L’unica speranza, scoperto che l’Imu sulla prima casa in realtà non è stata abolita, è che essa imponga un tributo in termine di risorse economiche inferiore alla vecchia Imposta Municipale Unica.
Anche questo auspicio, forse, è destinato a essere tradito. Ma procediamo con ordine. La Legge di Stabilità prevede un contributo massimo per la prima casa dello 0,1% del valore fiscale o, in alternativa, di un euro a metro quadro. L’aliquota massima per il 2013, invece, era dello 0,07%. Quindi, in ogni caso, si pagherebbe qualcosa di meno. Il problema arriva, però, nel momento in cui vanno a pagare gli altri – eventuali – immobili. Le “altre Imu”, infatti, sono state aumentate. L’aliquota per le case successive alla prima, infatti, potrà raggiungere anche l’11,6% per mille, sostanziando potenzialmente un esborso per tutti gli immobili messi assieme superiore a quello attuale. Insomma, nulla di positivo all’orizzonte.
I sindacati si sono dichiarati delusi. La Cgil è addirittura sul piede di guerra, e ha annunciato un imponente sciopero. Questa indignazione è causata, oltre che dalla debolezza generale della Legge di Stabilità nel suo complesso, anche da una stima riguardo proprio la Trise. Le famiglie pagheranno, per questa nuova tassa, in media 345 euro all’anno. Un po’ troppo, per poter parlare di inversione di rotta.