La cedolare secca è considerata come una valida alternativa all’IRPEF. E’ possibile infatti sostituire quest’ultima con un contributo una tantum, valevole per l’intera durata dei contratti, conosciuto per l’appunto come cedolare secca. In breve, questa consiste nel pagamento di una percentuale sul canone di locazione. Si para del 21% per i canoni liberi e del 15% per i canoni concordati (fino al 2013 era al 19%). Ma… Conviene veramente? La risposta è sì e no, contemporaneamente. Dipende dalle situazioni e da alcune condizioni “ambientali”.
La cedolare secca conviene quando:
1. Non si prevede un’inflazione elevata negli anni a venire. Come già accennato, la cedolare secca è una misura una tantum, dunque va pagata una sola volta e vale per tutta la durata del contratto. Il corollario di ciò è l’impossibilità di adeguare il canone all’inflazione. Se il costo della vita sale, è di norma concesso al locatore di godere di un aumento del canone proporzionato all’inflazione (fanno fede ovviamente gli studi dell’Istat). Nel caso si opti per la cedolare secca, però, alla luce della sua natura di una tantum, si è obbligati a “sopportare” il blocco del canone. In ogni caso, vista anche la specifica architettura normativa dell’Unione Europa (con la Bce che profonde tutte le sue energie proprio a mantenere basso questo parametro) sono rari i periodi in cui l’inflazione fa registrare aumenti superiori al 2%.
2. Si hanno redditi consistenti sottoposti all’IRPEF. La cedolare secca batte l’IRPEF solo quando i redditi non superano una certa soglia. Questo perché al di sotto di quest’ultima l’IPEF è soggetta ad alcune detrazioni, le quali a loro volta impongono al contribuente un aliquota al di sotto del tradizionale 21%. Va detto, comunque, che in genere la cedolare secca risulta conveniente, in quanto “l’alternativa” può comportare l’applicazione di aliquote anche del 43% (più relative addizionali).